To tap out

Mi sono svegliato, oggi, e sono rimasto un attimo a letto per guardarmi indietro e ripensare ai brutti momenti che ho superato nella mia vita.

Io mentre sono in una presa di sottomissione (nota come sharpshooter) effettuata dal mio amico Rotto

Estate 2006: Il Rotto mi tiene in una sharpshooter

Ok, vi chiedo un po’ di pazienza, questo post nasce dal wrestling, vi devo spiegare ma vado oltre al wrestling.

To tap out, nel gergo del wrestling e di altri sport di lotta, significa battere più volte una mano contro il tappeto, il pavimento, o il corpo dell’avversario. Indica una sottomissione, che è un modo di perdere un match. E’ un modo di dire che non ce la si fa più a sopportare il dolore, che l’avversario ha vinto, ci ha battuto e si deve fermare.

Essendo appassionato di wrestling mi sono fatto prendere in diverse mosse di sottomissione, vi garantisco che il dolore è graduale ma si fà sentire, e un certo punto non si può far altro che cedere. Forse lo troverete masochista ma dover dire basta a volte ci fà rendere conto che non siamo invincibili, che abbiamo un limite e per uno stronzo egoista come me è un presa di coscienza che a volte serve.

Sono una persona forte, sopporto bene il dolore, ma la vita a volte ci fà soffrire. Non parlo ovviamente di dolore fisico, a volte si stà così male che non ce la si fà più, bisogna cedere.

A me è successo. Mi ricordo 2 differenti occasioni. La prima avevo 14 anni e fu in seguito ad un tradimento di un’amico fidato. L’ultima, la peggiore, è avvenuta 3 anni fa: andai a letto devastato dal dolore e quando l’effetto di quelle 25 gocce di Valium finì mi svegliai, dopo aver dormito 4 ore, e il cuscino era ancora intriso dalle lacrime versate prima di prendere sonno. Non ne potevo più, mi rimisi a piangere e da solo mi dissi “Basta, non ce la faccio a stare così, è troppo”. Purtroppo il mio avversario era il demone di un sogno di vita distrutto, e non bastava cedere affinche si fermasse.

Ma l’aver ceduto, per me, è stata una sconfitta maggiore del dolore infertomi da quel demone. Uscivo poco, non mi divertivo mai, non studiavo, non mi presentavo agli esami, vivevo la vita di uno zombie. Non ero io, non ero quello che sono.

Non è stato facile ma ho reagito e da allora tengo la testa alta.

Naturalmente mi capita di soffrire ancora, ma accetto il dolore e le avversità della vita, cerco di elaborare per superare, calcolo delle strategie, mosse e contromosse, piani A e piani B. Non solo lo affronto ma a volte gli vado anche consciamente incontro con quell’insensata spavalderia che credo contraddistingua un uomo.

Non mento a me stesso, e non è un discorso per autoincoraggiarmi.

Mi sono svegliato, oggi, nel giorno del mio 26esimo compleanno, sereno, e mi sono chiesto quanto fossi forte. Bhè, lo sono, e non tanto perchè sono anni che non mi sottometto al dolore della vita, ma perchè ammetto di averlo fatto in passato, perchè scrivo sul web considerazioni anche negative di ciò che sono, ma soprattutto, perchè mi sono sempre rialzato.

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